mercoledì 4 novembre 2009

MILITARIZED DIPLOMACY: LA POLITICA ESTERA ERITREA TRA CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ (Parte II)

Asmara: identità, indipendenza e conflitti di uno stato “sviluppista”

L’identità eritrea emerse soprattutto in contrapposizione alla realtà imperiale etiopica subito prima dell’invasione fascista dell’Abissinia del 1935. Secondo gli storici, essa fu il prodotto di tre fattori principali. Primo, della crescita di un’ideologia discriminatoria indirizzata contro le popolazioni etiopiche assoggettate durante il colonialismo italiano, rispetto ad un popolo eritreo considerato sotto l’ombrello protettivo del “civilizzatore”. Secondo, del boom economico che si registrò in Eritrea subito prima dell’invasione italiana dell’Etiopia. E terzo, del ruolo delle truppe eritree nell’invasione fascista dell’Etiopia (si calcola che circa 50.000 unità dell’esercito italiano fossero allora costituite da ascari). Queste tre caratteristiche contribuirono alla nascita di un primo “confine” tra la colonia italiana e Addis Abeba, concorrendo non poco alla formazione dell’identità eritrea e al mito del paese come zona più sviluppata dell’impero, convinzione questa radicata in parte anche nella retorica della guerra di liberazione.

Dopo la sconfitta italiana nella seconda guerra mondiale, l’Eritrea fu temporaneamente posta sotto amministrazione fiduciaria britannica, prima che l’ONU decidesse di federarla all’Etiopia nel 1952. La sua completa annessione da parte di Haile Selassie come quattordicesima provincia dell’impero nel 1962 scatenò anche la prima resistenza armata sul territorio. L’Eritrean Liberation Front (ELF) cominciò delle azioni di guerriglia già nel 1961, ma nel 1970 una piccola fazione del gruppo si separava dalla formazione originaria, prendendo poi il nome – nel 1975 – di Eritrean People’s Liberation Front (EPLF). La tensione tra l’ELF e l’EPLF si concluse solo nel 1982, quando l’ELF fu sconfitto dall’EPLF, che rimase così l’unico movimento di contrapposizione al regime di Menghistu, che nel frattempo aveva destituito tramite un colpo di stato militare l’imperatore Haile Selassie. L’Eritrean People’s Liberation Front riuscì, infine – anche grazie all’aiuto indiretto di altri gruppi di opposizione alla giunta militare etiopica, come il Tigray People’s Liberation Front (TPLF) e l’Oromo Liberation Front (OLF) – a liberare la città di Asmara, e così l’Eritrea, il 24 maggio 1991. Dopo la caduta del Dergue nel giugno del 1991, la coalizione che aveva contribuito alla sua sconfitta, l’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (EPRDF), prese il potere in Etiopia, dichiarando un periodo di transizione di due anni prima di indire un referendum sull’indipendenza eritrea. Nell’aprile del 1993 gli eritrei si espressero in favore dell’indipendenza, e così nel maggio dello stesso anno l’EPLF dichiarò il paese come uno Stato indipendente, il quale nasceva dai medesimi confini ereditati dall’ex colonia italiana. La configurazione dell’Eritrea nello scacchiere internazionale e regionale ha evidenziato come i suoi confini siano stati discussi e modellati nel tempo da forze prettamente “esterne”. Il paese pertanto può essere descritto come una classica “terra di confine”, un’entità territoriale posta da sempre in aperto conflitto con i suoi importanti vicini, come lo stato etiopico, quello sudanese e quelli arabi che affacciano sul Mar Rosso.

Le basi ideologiche per lo sviluppo politico dell’Eritrea post-guerra di liberazione sono poi state trascritte nella National Charter for Eritrea, approvata dal terzo congresso dell’EPLF/PFDJ nel febbraio del 1994.
Proprio durante questo congresso il Fronte decise di cambiare il proprio nome in People Front for Democracy and Justice (PFDJ), con l’intento di sottolineare la conclusione della guerra di liberazione e il passaggio dell’amministrazione da un’ala militare ad una civile.
Una delle prime misure prese dal PFDJ per rafforzare il senso di appartenenza nazionale fu proprio quella di imbastire una leva militare obbligatoria per tutti gli uomini e donne che avessero raggiunto almeno un’età di diciotto anni. Unendo così in un unico esercito giovani Kunama, Afar, Beni Amer e Tigrini, il nuovo governo cercava di accrescere e cementificare lo stesso spirito nazionalista sperimentato durante gli anni di lotta di liberazione.

Quando l’Eritrea raggiunse l’indipendenza formale nel 1993, il proprio confine con l’Etiopia era ancora fissato da una serie di trattati coloniali italo-etiopici (segnati nel 1900, 1902 e 1908). Nonostante questo, la frontiera non venne mai totalmente demarcata, causando non pochi problemi di usufrutto delle terre e dispute amministrative in diversi villaggi. Il 6 maggio 1998, un piccolo gruppo di soldati eritrei entrava in un’area contesa nei pressi del villaggio di Badme, che comunque si trovava sotto amministrazione etiopica fin dal 1962. Il piccolo e circoscritto confronto a fuoco che ne seguì causò l’acuirsi di una tensione ben più estesa, che portò allo scoppio di una vera e propria guerra transfrontaliera. A seguito dei bombardamenti etiopici sulle città di Massaua, Asmara e Assab, il paese accettò un documento di pace stilato dall’allora Organizzazione dell’Unità Africana (OUA). Così, nell’agosto del 1999 entrambe le parti in conflitto accettarono in principio la mediazione dell’OUA, che portò – dopo un massiccia offensiva etiopica nel maggio del 2000 – all’accordo di Algeri, siglato il 18 giugno del 2000. L’accordo prevedeva la creazione di una zona cuscinetto lungo tutto il confine eritreo-etiopico larga circa 25 Km e denominata Temporary Security Zone (TSZ). L’intera striscia di sicurezza venne situata interamente in territorio eritreo e presieduta all’origine da circa 4.000 caschi blu dell’ONU, appartenenti alla missione UNMEE (United Nations Mission for Eritrea and Ethiopia).

Il trattato di Algeri venne definitivamente ratificato dal primo ministro etiopico Meles Zenawi e dal presidente eritreo Isaias Afwerki nel dicembre del 2000. Inoltre, l’approvazione del disegno di pace inaugurava due commissioni, le quali avrebbero dovuto da un lato registrare e regolare le rivendicazioni dei due contendenti (EECM – Eritrea and Ethiopia Claim Commission) e dall’altro provvedere all’implementazione della demarcazione del confine (EEBC - Eritrea and Ethiopia Boundary Commission). La Commissione per i confini, in accordo con il proprio trattato istitutivo, aveva il compito di provvedere a una demarcazione sulla base di alcuni trattati coloniali ( trattati italo-etiopici del 1900, 1902 e 1908). L’organo, pertanto, non possedeva competenze tali da imporre decisioni sulla questione ex aequo et bono. In particolare, i suoi membri erano privi della facoltà di esprimere giudizi basati su principi di equità ma, al contrario, le proprie funzioni dovevano esclusivamente attenersi ai testi dei trattati istituiti in epoca coloniale. La decisione della commissione si concretizzò quindi nel marzo del 2003, sancendo – di fatto – il diritto di appartenenza eritrea sul villaggio di Badme. Il rifiuto etiopico della decisione dell’EEBC determinò, però, uno stallo nelle trattative sul confine, di cui ancora oggi non se ne riesce a vedere una soluzione.

La nuova escalation di tensione legata al contenzioso sul confine è stata inoltre accompagnata – tra il maggio 2005 ed il luglio del 2006 – dall’espulsione dei caschi blu europei, statunitensi e russi dall’Eritrea e da una riduzione consistente del contingente UNMEE, che oggi conta circa 2500 uomini (di cui 230 osservatori), così come sancito dalla risoluzione 1681 del 31 maggio del 2006. Nonostante i numerosi richiami del Consiglio di Sicurezza dell’ONU allo spirito di Algeri – accompagnati inoltre da vere e proprie minacce di sanzioni – entrambe le parti si rifiutano ancora oggi di sedersi nuovamente al tavolo delle trattative, sacrificando l’azione diplomatica a vantaggio di una nuova – ma non inedita – “delocalizzazione” del conflitto. Questa tendenza è stata inoltre testimoniata dall’entrata dei due paesi nell’intricata crisi somala, la quale ha visto l’allineamento di almeno due fronti ben distinti, che oggi vedono contrapporsi da un lato le istituzioni federali di transizione con sede a Baidoa e a Mogadiscio – sostenute e protette politicamente e militarmente dal governo Zenawi – e dall’altro l’Alleanza per la Liberazione della Somalia (ALS), nata nel settembre del 2007 ad Asmara sotto l’ombrello protettivo del governo Afwerki.
L’Alleanza per la Liberazione della Somalia (ALS) è un movimento di opposizione al Governo Federale di Transizione nato nel settembre del 2007 ad Asmara. Esso comprende circa 400 delegati, inclusi l’ex presidente della Shura dell’Unione delle Corti Islamiche Hassan Dahir Aweys, l’ex presidente del comitato esecutivo delle Corti Sharif Sheikh Ahmad, l’ex presidente del parlamento di transizione Sharif Hassan Sheikh Aden e l’ex vice primo ministro del governo federale di transizione Hussein Mohamed Farah Aidid.

Attualmente l’Eritrea è governata da un sistema a partito unico (People Front for Democracy and Justice – PFDJ), dove non esiste alcuna opposizione politica e dove il settore dell’informazione è tenuto ben saldo nelle mani dell’esecutivo attraverso il ministero dell’informazione. L’economia e le sue forze produttive sono state interamente nazionalizzate. Il paese perciò – anche secondo la visione di numerosi analisti internazionali – corrisponde per molti aspetti ad un classico esempio di “stato sviluppista”. Infatti, il suo attuale sistema di governance si compone di due caratteristiche principali: una ideologica e un’altra più strutturale. La componente strutturale sta nel fatto che il potere politico basa la propria legittimità principalmente nella capacità di promuovere e sostenere lo sviluppo dall’interno, limitando al minimo i flussi di aiuto internazionale (ciò spiega anche la difficoltà di organizzazioni non governative a lavorare e promuovere progetti di sviluppo nel paese). A livello ideologico, invece, l’elite di governo deve essere capace in qualsiasi momento di imporre “un’egemonia ideologica” sulla società. In altre parole, gli anni che hanno contraddistinto l’operato del governo di Asmara sembrano essere sostanzialmente il frutto di un processo di state-building spiccatamente gestito “dall’alto” dall’elite politica al potere. Esso inoltre non fa che presentarsi significativamente in controtendenza rispetto allo spirito degli anni di lotta di liberazione e al tipo di accountability allora sperimentato, fatto di inclusività e partecipazione dal basso, soprattutto tra la popolazione rurale dell’altopiano.

1 commento:

  1. La difficoltà, oggi comunque molto relativa, delle O.N.G. ad operare in Eritrea sono dovute
    quasi esclusivamente alle note esperienze verificatesi negli anni 60 in Somalia e che l'Eritrea non vuole assolutamente sperimentare.
    Ci sono anche altre situazioni che, con un eufemismo, si possono definire "vergognose", e, in questo caso, il discorso si fa lungo!
    Cordialità.
    Walter*

    *Autore di "Eritrea. Un poco di...quasi tutto"
    ISBN 978-88-6144-002-9

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