sabato 24 ottobre 2009

Eracle e le stalle di Augia.



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Dittatura, multinazionali e società civile.
Spesso sento parlare di paesi africani dove si consumano tragedie e che in Africa la sofferenza e il dolore sono il corso normale degli eventi. L'Eritrea è un paese africano, ma perchè deve seguire il sentiero della guerra civile, delle dittature, della fame, dell'esodo della popolazione?
Anche a me inquetano le risposte del tipo :"in Africa le cose funzionano così!".
La realtà è che la società civile africana che permette che succeda tutto questo.

Gli organi di informazioni occidentali definisco l'Eritrea come paese del Terzo Mondo o meglio "paese in via di sviluppo". La società civile eritrea, si è mai chiesta cosa significa essere un "paese in via di Sviluppo"? E' in via di sviluppo il governo del paese? La politica e i partiti sono in via di sviluppo? L'amministrazione? L'educazione? I mezzi di comunicazione sono in via di sviluppo? L'Eritrea non ha avuto l'opportunità di svilupparsi?
Per esempio consideriamo la ricostruzione dell'italia dal 1945? In 20 anni dopo l'ultima guerra mondiale aveva raggiunto il boom economico e tutti si erano dimenticati della seconda guerra mondiale. Perchè allora l'Eritrea in quasi 18 anni dall'indipendenza continua a guerreggiare, a confrontarsi con i paesi vicini e a violare i diritti umani della propria gente?
Qualcuno potrà dire che la colpa è della guerra contro l'Etiopia. Allora confrontiamo l'Eritrea con Israele. Questo paese dalla sua controversa nasciata ha affrontato guerre con quasi tutti i paesi arabi confinanti.
http://it.wikipedia.org/wiki/Conflitti_arabo-israeliani
La guerra con l'Egitto del 1956
La Guerra dei sei giorni del 1967
La guerra del Kippur (Yom Kippur )
Nel 1978 l'invasione del sud del Libano
Intifada
ecc...ecc...
Diciamo che israele come l'eritrea arruola anche le donne nell'esercito. Il servizio civile dura tanto sforzo e tempo ai giovani israeliani. E' uno stato in perenne emergenza di conflitto. Però gli israeliani possono votare il partito che vogliono, il sistema giudiziario può verificare le azioni dei militari, della politica e della polizia. I diritti degli israeliani all'interne del paese sono scrupolosamente seguiti.



Allora cosa manca all'Eritrea rispetto a Israele? Potrei azzardare dicendo che manca la "SOCIETA' CIVILE" dei paesi sviluppati.
E' la società civile eritrea che sta arretrata. In Eritrea informarsi, occuparsi di politica in modo attivo e coscente, chiedere conto alle istituzioni del loro operato diventa un crimine equiparato all'alto tradimento contro lo stato. Sovversione dell'ordine democratico (Se proprio di ordine democratico dobbiamo parlare).
Non è che non c'è l'informazione, perchè molti crimini del governo eritreo ormai sono sulla bocca di tutti, anche del dittatore eritreo stesso.


A volte succede che mi imbatto in delle discussioni in cui il nemico dell'Africa è il neo-colonialismo. In cui la colpa dei disastri Africani si scarica ai paesi occidentali (e in parte alla Cina). Chi permette alle compagnie multinazionali di fare affari in Africa? Sono solo gli azionisti oppure sono i governi africani?
Se il neo-colonialismo fosse un reato da portare in tribunale, allora la società civile africana che parte ricoprirebbe? Imputato, accusatore oppure avvocato della difesa? La società civile in questo momento fa il ruolo dell'avvocato della difesa, addottando la strategia del silenzio, del diritto di non rispondere (alle violazioni degli interessi del paese). La società civile non fiatando fornisce il pretesto per il proseguo degli affari delle multinazionali nelle terre Africane. Chi Tace acconsente. Ormai non ci sono solo le multinazionali ma ci sono anche reparti e comandi militari. Vedi la presenza USA con Africom.
http://www.youtube.com/watch?v=JRCZk8mM1EU
Chi fornisce basi di appoggio ai militari? Il terreno se lo conquistano? Oppure sono le stesse dittature che acconsentono? La società civile africana cosa fa in questo caso?


Tornando all'eritrea:
Il problema sta nell'operato della società che lasciare passare qualsiasi azione abituandosi a tutto; a quel punto niente potrà stupire, dispiacere o spaventare. Tutti, compreso Isayas Afeworky, sono coscenti di come è drammatica la situazione del popolo eritreo.
Forse è arrivato il momento di fermarsi un attimo e ragionare come uscire da questo pantano.

Per farmi capire vorrei raccontare una storiella mitologica che ho letto giorni fa su un giornale.

Eracle è un eroe della mitologia greca, corrispondente alla figura della mitologia romana Ercole. Celebri sono le sue incredibili imprese, le dodici fatiche. In particolare presento l’episodio delle stalle di Augia.

Augia era il re dell'Elide, nel Peloponneso;
Augia aveva ricevuto dal padre Elio moltissimo bestiame. Augia non puliva mai le stalle, tanto che il letame che continuava ad accumularsi creava seri problemi nei dintorni; allo stesso tempo il cielo era oscurato dagli sciami di mosche attirate dalla sporcizia. Eracle propose al re Augia che avrebbe ripulito lo sterco dalle sue enormi stalle prima del calar del sole. In cambio gli chiese un decimo di tutto il suo bestiame. Il re incredulo accettò la scommessa e i due giurarono sul loro accordo. Allora Eracle aprì due brecce nei muri delle stalle, e deviò il corso dei vicini fiumi e le acque impetuose invasero le enormi stalle e i cortili spazzando via lo sterco fino alle valli del pascolo. Così Eracle compì la sua "sesta fatica" ripulendo l'intera terra dell'Elide senza nemmeno sporcarsi.

Friedrich Durrenmatt è uno scrittore Svizzero. La svizzera è il paese dove le scelte vengono effettuate con i referendum è il popolo a governare se stesso. Democrazia partecipativa.
Friedrich Durrenmatt scrisse nel 1954 un racconto intitolato "Ercole e le scuderie di Augia" (Herkules und der Stall des Augias). Nella rivisitazione della sesta fatica che fa Durrenmatt invece non è Ercole a pulire le stalle di Augia ma saranno i cittadini a farlo. La morale è che non spetta all'eroe ma al popolo dell'Elide ripulire della sporcizia il proprio paese. I cittadini avranno un paese pulito e ordinato soltanto se essi non ne delegheranno a nessuno la gestione e la politica, ma se ne incaricheranno in prima persona. Perchè la democrazia, governo del popolo, cresce grazie a continue e assidue azioni di pulizia e sorveglianza.


Noi eritrei aspettiamo gli eroi (paesi occidentali o altri) che ci liberino dalle catene della dittatura. Forse è l'ora che dobbiamo informarci di persona e costruici una opinione, e magari successivamente cercare soluzioni per questo paese.

Prima di concludere vorrei collegare la mitologia e il neo-colonialismo utilizzando il finale della storiella di Eracle.

Eracle alla fine dopo aver pulito le stalle, chiese al re Augia la ricompensa promessa, ma questi rifiutò sostenendo di essere stato da lui ingannato: non Eracle bensì i fiumi avevano ripulito dallo sterco il suo regno. Eracle chiese che la controversia fosse sottoposta a giudizio che però fu a suo svantaggio e venne scacciato dall'Elide.
Secondo un'altra versione, la lite che seguì alla mancata ricompensa per il lavoro svolto portò alla guerra: Eracle vinse e Augia fu ucciso.

Le multinazionali le possiamo comparare con Eracle, che forniscono i loro servigi ad un paese Africano. Le relazioni tra multinazionali e le neo-colonie finiscono tragicamente come spesso accade, come descritto nella storiella delle stalle di Augia, proprio perchè il governo va in contrapposizione con gli interessi delle compagnie.
Non vorrei essere franinteso, le multinazionali e i governi hanno il diritto di fare affari con chi vogliono. La questione è che le dittature non sono un'espressione del popolo e spesso queste dittature non rispondono nè ad un organo di controllo, nè a quello giudiziario. Per cui problemi tra dittature e multinazionali sfociano in pasticci che destabilizzano non solo un paese ma una regione intera di un continente. Tutto questo nasce perchè la società civile ha abdicato dal suo ruolo di controllore e di garante.


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domenica 18 ottobre 2009

Il Manifesto di Berlino


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by http://asmarino.com/ 18 October 2009
Before the G15, there were the G13
“The Berlin Manifesto”
Letter to the President of Eritrea.







Berlin, October 3, 2000

H.E. Isaias Afwerki
President of the State of Eritrea
Asmara, ERITREA

Dear Mr. President:


We, the undersigned, Eritrean academics and professionals, concerned with the predicament facing our country, have agreed to meet in order to make a sober appraisal of our country’s current problems and to suggest appropriate solutions. Fully cognizant of your role in leading our nation to independence and mindful of your continued importance as a national leader, we decided to address this letter for your consideration and action.

Your comrades-in-arms trusted you as their leader during the liberation struggle. Your assumption of the office of President is a function of that trust. That trust and the responsibilities that it implies have never been more important than at this crucial moment of our history. We, as concerned Eritreans, also feel the weight of this responsibility. It is for this reason that we have come together to voice our concerns, and to exchange views and ideas which we submit as follows.

We would like to begin by expressing our unreserved support for our government in its defense of our country’s sovereignty and territorial integrity, and our admiration for the Eritrean defense forces and the entire Eritrean population for their role in foiling the Ethiopian aggression. But it is our firm belief that the military threat posed by Ethiopia cannot be dealt with separately from the political and economic challenges that confront us as a new nation. We are aware that the great promise of peaceful reconstruction and development has been shelved by considerations of national survival. However, we are also convinced that we can meet the present danger and future challenges if we unite our efforts and correct our past mistakes. The current crisis presents an opportunity to those ends.

I. A Hard-Won Independence Was Nearly Lost

Mr. President,

The experience of the last two years has been particularly painful but enlightening. As a nation we have been devastated by the Ethiopian invasion of our sovereign land. Indeed, the wound inflicted upon us by this war has been a chastening experience. Destroying towns and driving thousands of innocent citizens from their homes and even to foreign lands, the Ethiopian army’s deep penetration inside Eritrea and our sudden retreats shocked every Eritrean to the core and shook our nation to its very foundation. The very independence and sovereignty for which Eritreans paid with their lives and limbs was put at risk. We believe, had it not been for the resistance waged by our heroic defense forces and the unflinching support of our people, Eritrea would have almost been destroyed..

How did this come to pass? What are the causes of this tragic war? Why and how did the Ethiopians manage to penetrate deep into Eritrean territory with such speed and devastating effect? This war has not only cost us dear in life, property and in the suffering of our people. It has also raised grave questions about the conduct of Eritrean affairs both domestic and foreign, and about the nature and style of our leadership in the post-independence period.

Mr. President,

To ask why we have come to this impasse to inquire into what went wrong and to reflect upon the cause and conduct of the war, and whether it might have been avoided, is not only legitimate, but it is also the duty of every citizen. We hope that the Eritrean leadership, in its recent meetings, has done some soul searching and endeavored to provide satisfactory answers to these questions. We, on our part, took it upon ourselves, as concerned citizens who made modest contributions to our national struggle, to express our views on our nation’s current predicament and to offer some proposals as remedies. We hope and trust that you will consider these views in the spirit in which they are given, i.e., on the strength of our patriotic duties and our peoples proud tradition of love of truth and respect for the opinion of others.

The initial impulse that brought us together is manifold. First and foremost, it is the humanitarian crisis facing our people as a result of the war with Ethiopia. But we would be remiss, as concerned citizens, were we to ignore the other burning issues exposed by the current crisis facing our nation --political, social, and economic, as well as crisis in leadership.

II. Humanitarian Crisis and Eritreas Image

On the humanitarian question, we express deep concern for the tragic conditions of Eritrean victims of war. We are particularly concerned with the plight of the hundreds of thousands of Eritreans who have been affected by the war and the over 75,000 compatriots who were expelled from Ethiopia, and our citizens who are in refugee camps in the Sudan as well as those still languishing in Ethiopian jails and concentration camps. While we appreciate the Eritrean governments principled stand on the issue of deportation, we hope and trust that any deportation that may take place in Eritrea, if necessary and legitimate, would adhere to international law, and be in accordance with the previous practice of the Eritrean government.

We support the Eritrean National Assembly’s recent resolution condemning the criminal acts of the Ethiopian government, and we condemn the many egregious acts of violence, vandalism, rape and theft that have been perpetrated, and are being perpetrated, by agents of the said government against innocent Eritreans, In this respect, we pledge to commit our intellectual and financial resources in the ongoing effort to mobilize support. We trust the government to facilitate the timely delivery of humanitarian aid to our people in this time of need and we call upon every citizen to lend a helping hand in this effort.

Turning to another issue of concern, i.e., Eritrea’s image, we wish to assure you, on the basis of close observation, that Eritrea’s image has never been as bad as it is today. Indeed, it has hit rock bottom. There should be no illusions about this. Despite our belief in the rightness of our position, much of the world community, including our fellow Africans, perceive the Eritrean government and its leadership as aggressive and irresponsible. Eritrea’s leadership has been cast, particularly since the start of the war with Ethiopia, as contemptuous of international law and accepted norms of behavior.

Although Eritrea’s worsening image may have been affected by these charges, it is also true that we have alienated our friends and allies, including those who stood by us during the liberation struggle. Even the commendable policy of self-reliance, which many applauded, has now been portrayed as an aspect of arrogance. In our view, the problem is not the policy but its implementation. We know that there is a lot of room for improvement in the matter of implementing policies and in the manner of handling representatives of foreign bodies. Hence, there needs to be a critical reappraisal of policy and praxis.

III. The War and Critical Issues it Brought to Light.

We have followed with great interest and anxiety the unfolding of events since the outbreak of the war with Ethiopia. This tragic war has induced in us a need for critical review of the post-independence developments in Eritrea and particularly in our government’s performance. We recognize the fact that there are notable achievements in the fields of infrastructure, education, and social services. However, we have also noted developments that cause us considerable uneasiness and serious concerns about the future of our country.

Despite these disquieting developments, we remained remarkably silent. The reason for our silence was not due to apathy or lack of interest but rather due to the pervasive phenomenon of self-censorship. This self-censorship was particularly acute during the last two years because we all felt that criticism would give aid and comfort to the enemy who might distort it to suit its purposes. Now it is time to speak and speak plainly. Further silence can only endanger the interest of the country as well as compromise our historic responsibility. We must now say that, in our considered opinion, the government has lagged behind in the development of democratic institutions, including mechanisms for ensuring accountability and transparency. We respectfully submit that this is the most important matter for you to ponder and face squarely in whatever reappraisal of government policy and practice you may be undertaking, as we hope you are.

IV. Reconciliation and National Unity

We are convinced that we reflect a widely held view among Eritreans that there should be national reconciliation. Eritrean military victory and the assumption of sovereign nationhood should have been accompanied by a spirit of reconciliation fired by magnanimity the same magnanimity shown towards Ethiopians. Wisdom and statesmanship required a call for reconciliation extended to all Eritreans irrespective of belief or political affiliation to join hands in rebuilding a shattered society and economy. It is an opportunity that was lost but that can still he reclaimed. The EPLF (PFDJ) leadership should be willing now to provide political space for groups or individuals. The absence of such space has severely affected the development of civil society and has fostered a feeling of alienation among segments of our society. The constitution, about which we shall say more below, requires such space in no uncertain terms.

V. Collective Leadership and Popular Participation

Mr. President,

Considering the practice of the EPLF during the armed struggle, we believe that one of the grave mistakes that the government has made has been the abandonment of collective leadership. You do not need us to tell you that the practice had created trust and mutual confidence among the leadership and between the leadership and the rank and file. The heroic struggle of Eritrean fighters their tenacity and resilience in the face of overwhelming odds would not have been successful without such trust and confidence and the collective leadership based on it.

After independence this practice was abandoned and replaced by one-man leadership. It is also distressing to learn that individuals who were part of the leadership during the struggle have been inexplicably sidelined, in some cases with a loss of their use in this crucial time of crisis. This is inexcusable, and whatever the explanation for this negative development, we feel that it must be rectified. No individual leader, however gifted, can he a substitute for values that come with collective reflection and action in national affairs. The advent of one-man dominance has had the effect of suffocating a variety of ideas from blossoming and denied meaningful popular participation. It has inevitably prevented the growth of democratic institutions. A new nation with very limited and under-developed resources facing enormous challenges in all fields’ political, security, economic, social cannot afford to have a government that depends only on one person.

In fairness, the blame must also be shared by other members of the leadership to the extent that they did not object to the negative practices. They may have put up some feeble complaints, but we have heard of no such protests. So, they too have failed the nation along with you in allowing power to be concentrated in the hands of one man. The absence of any record of protest is also a function of the absence of freedom of expression which has prevented the citizens from exercising their rightful duty of restraining the undue accumulation of power in the presidency. Thus it is no exaggeration to say that, despite some notable progress to its name, the government has failed the nation in some important respect.

VI. Crisis within the Leadership

Mr. President,

It is not a secret that there is a serious contradiction and a major rift among the leadership. We cannot over-emphasize our apprehension of what may ensue. We deem it to be too serious and dangerous to he handled in a confrontational manner. Hence, we appeal to you and the rest of the leadership to handle it carefully, and to resolve all future conflicts within the framework envisaged by the constitution. Any further delay in resolving the crisis within the leadership will have grave consequences for our nation. We cannot minimize the potential weakness that this crisis may create if not handled properly, considering the opportunity that it can give the enemy to exploit our internal contradictions.

VII. The Role of PFDJ in Politics and the Economy

Mr. President,

We are particularly concerned about the parallel institutions of the PFDJ and the government. We see lack of clarity in functions. We see duplication and a bewildering variety of tasks and actors. We feel this involves confusion and waste of resources which a small nation with scarce resources can ill afford.

We would like to see a clear definition of what the PFDJ is. We would also like to see it confined to party activities and refrain from activities that are the proper province of government. The PFDJs economic activities are a cause for concern and an abuse of the goodwill and trust of the people. While it cannot be denied that PFDJ/government business activities have solved many problems by providing timely and affordable commodities to our people, this cannot he said anymore. In point of fact, PFDJ/government economic activities are contrary to the government’s policy of "a dynamic, private sector-led . . .market economy.. .and a commitment to private sector development... More to the point, PFDJ companies have no clear mechanism of accountability and transparency. At least, there is none that is known to the public. We believe that this is a recipe for disaster and for fostering corruption, cronyism, and favoritism. This climate discourages genuine and credible investors. We strongly believe that the current business practices of the PFDJ will act as corrosive agent of the political, social, and economic life of the nation, in any ease, and in view of the record of the PFDJ, it is important to seriously reassess the whole question of a party running business.

VIII. Implementation of the Constitution

Eritrea has a constitution the most sacred document of the nation. This constitution represents the consummation of the Eritrean struggle which was fought for self-determination, democracy, social justice and the rule of law. It was crafted with the participation of the people and was ratified by their representatives. It is the people’s document and no one has the right to suspend it or otherwise tamper with it. You were right when you said in your recent interview that the time for the implementation of the constitution was yesterday. [Iwanu ttnallyu neiru.] We agree, but we say: better late than never,

The constitution must be implemented immediately. A ratified constitution means that it is already in effect and that the Eritrean people should be enjoying their constitutional rights. We are dismayed to witness the operation of institutions that are clearly and flagrantly in violation of the spirit and letter of the constitution. We are astounded to hear of practices that are contrary to the provisions of the constitution continue today. We, therefore, solemnly request that you take the necessary steps to ensure the fill and immediate implementation of our constitution.

As a sign of goodwill and seriousness of intent, again, we would like you to abolish the special court which is undermining the rule of law and creating disaffection among a segment of our population. People have been languishing in jail for many years without being formally charged of any crime, let alone sentenced. They have been waiting to appear before the special court. This stands in stark opposition to the letter and spirit of the constitution and is an affront to elementary notions of justice. We urge you to set these people free immediately or have them brought before a court of law.

Another disturbing practice that is contrary to the spirit of the rule of law is the resort to arbitrary practices of freezing civil servants in what is popularly known as midiskal. This harsh and unfair practice, presumably intended to instill fear, seems to have been self-defeating. If the intent was to correct or rehabilitate the victim, or otherwise bring something good to government or the nation, it has not had that effect. The overall effect of the practice has been disillusionment, confusion and waste of valuable resources.

Conclusion

Mr. President,

Eritrea is at a crossroad. A portion of our land is under foreign occupation. A significant proportion of our population is displaced. It is time for a serious soul searching by all concerned, starting from the leadership. Let the leadership and the entire nation conduct an open debate. People should not be denied this right which they have paid for with their blood, sweat and tears. We urge you most sincerely to seize this moment of crisis and turn it into an opportunity to reclaim your hard-earned reputation as a leader. You owe it to yourself and to the nation and to wonderful people that has followed you through thick and thin.

On our side, we will spare no effort to help secure Eritrea’s territorial integrity and national sovereignty. At the same time, we will endeavor to promote a culture of openness, tolerance, accountability and rule of law. To these ends, we intend to broaden our base by convening a larger meeting which will consider your response to this letter. The idea is to begin and institutionalize a government/civil society dialogue on a continuing basis as a critical part of a healthy development of our future.

Respectfully Yours,
1. Araya Debessay
2. Assefaw Tekeste
3. Bereket Habte Selassie
4. Dawit Mesfin
5. Haile Debas
6. Kassahun Checole
7. Kaled A. Beshir
8. Lula Ghebreyesus
9. Miriam M. Omar
10. Mohamed Kheir Omar
11. Mussie Misghina
12. Paulos Tesfagiorgis
13. Reesom Haile

Contact person in Asmara Paulos Tesfagiorgis


And finally to President Issayas Afewerki,

“Is there no respect of place, persons, nor time in you? “

(William Shakespeare)

(1564-1616), British dramatist, poet. Malvolio, in Twelfth Night, act 2, sc. 3, l. 91-2. Reprimanding Sir Toby and his companions for their rowdiness at night.)



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lunedì 12 ottobre 2009

Dallol


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www.photovolcanica.com

Potash is of economic value as fertilizer component. Consequently, the recognition of surface deposits of carnallite by the Black Mountains in 1906, by the Italian T. Pastori, was soon followed by first extraction attempts. The Italian Compagnia Mineraria Coloniale (CMC) installed mining infrastructure at Dallol. The main settlement appears to have been on Dallol mountain (presumably to avoid flooding during the rainy season). Transport was initially by camel all the way to the coast. However, from 1917-1918, CMC constructed a 60cm-gauge Decauville railway in Eritrea (Decauville = ready-made sections of small-gauge track which can be rapidly assembled) which served to transport the salt from Kulluli near the Ethiopian border to the small port of Mersa Fatma. From here the salts were shipped by dhows to the deep water port of Massawa, where they were then loaded onto larger ships for export. No railway was built on Ethiopian territory so the first 28km from Dallol were covered using lorries. During WW I, the allies obtained much of their potash from Dallol (Holmes, Geol. Mag. 6, p.340-343 (1919)). One source (Guida dell' Africa Orientale, Consociazone Turistica Italiana, Milano, 1938) indicates that in 1918, 20000 tonnes of potash analog were extracted and sold to Stassfurt Salt in germany. This seems rather unlikely since the germans were not short of potash at the time and were at war with the allies till near the end of that year.

The actual mining initially took place at the carnallite / sylvite deposit by the Black Mountain and involved, amongst other techniques, flooding of salt pans around a continuously flowing hot spring and harvesting of potash-rich salts therefrom after deliquescence removed most of the MgCl2 (Holwerda and Hutchinson, 1958). It is questionable if mining was restricted to the Black Mountain area. Apparently, local Afars tell of a deep mine that was present on Dallol Mountain in the vicinity of the mining village (Luigi Cantamessa, personal communication). No entrance to a deep mine is visible today. However, what appear to be the axles of mining cars from a narrow-gauge railway are found in Dallol village. On the other hand, the idea of deep-mining in an active geothermal area seems problematic.

The mine(s) appear to have been operational until 1929 when operations ceased due to increasing tensions between Italy and Ethiopia and due to easier availability of potash from the US, USSR and Germany. About 70000 tonnes of potash were recovered during the period up to 1929. Between 1925 and 1929, 25000 tonnes were extracted (Mohr, Geology 1961, p.239-240). The railway line was also closed in 1929 and it is reported that it was eventually dismantled and shipped to India by British troops during WW II (L.C., pers. comm.).
It is presently unclear what happened at Dallol in 1930s. It appears that the mine was not totally abandoned in the 1930s since it was sabotaged by Italian troops from the nearby military camp before British soldiers arrived in 1941 and the US Bureau of Mines Annual Report of 1940 included reference to mining of salts at Dallol in 1940. Plans to extend a railway all the way to Dallol had apparently been made (this may have indeed occurred (is currently being investigated), especially after Italy conquered Ethiopia in 1936 and formed Africa Orientale Italiana, which encompassed both Ethiopia and Eritrea). Although the mining infrastructure was sabotaged (this possibly accounting for the lack of a visible mine entrance today), the remains of many of the buildings still remain. This includes remnants of workers dwellings, the walls of which were constructed using blocks of salt.






The beautiful hot springs at Dallol are attracting increasing numbers of tourists, with many tour operators organizing tours into the Danakil Depression to see the Springs and Erta Ale volcano further south. Dallol can presently be reached by 4WD vehicle in 1 day from Mekele and 2 days from the main Addis-Djibouti road. However, 2007 and 2008 have seen repeated attacks on tourist convoys by what appear to be Afar Separatists from the Afar Revolutionary Democratic Unity Front (ARDUF). The establishment of improved infrastructure may increase security, yet even the current small stream of tourists is causing visible damage to the fine structures in the geothermal area.


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Licenza di esplorazione In Dankalia. Solo carbonato di potassio?


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28 Luglio 2009 - South Boulder Mines Ltd
La società South Boulder Mines Ltd presenta un documento dove annuncia di aver ricevuta licenza di esplorazione dal Eritrean Ministry of Energy and Mines. Naturalmente il governo Eritreo si è ben guardato dal diffondere una notizia del genere. Le uniche fonti di informazione che sono HADDAS ERTRA ed ERITREA PROFILE non riportano, nei giorni finali del mese di Luglio, la notizia della firma dell'accordo. Naturalmente la South Boulder Mines Ltd pensado agli investimenti degli azionisti ha preferito, il 28 Luglio 2009, rendere pubblico l'accordo.
Ecco il documento integrale:





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martedì 6 ottobre 2009

Eritrea, un paese alla deriva



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Nigrizia - 26/6/2008
Una testimonianza da un eritreo della diaspora

Ghebremariam Tekeste
Un grido di dolore per una nazione che è ormai al collasso. Pubblichiamo alcuni stralci di un toccante testo che ci arriva dall’Eritrea, comprese due brevi testimonianze, raccolte dall'autore. Tutti i nomi, compreso quello dell’autore, sono fittizi.

Hayat, 21 anni . Mi sono rifiutata di fare il servizio militare. Le mie amiche mi avevano raccontato i problemi che le ragazze devono affrontano: lavori pesanti, molestie sessuali, violenza, discriminazione.
Il mio fidanzato si trova in Norvegia e mi chiese di andare a Khartoum.' ci avrebbe pensato lui a prepararmi i documenti.
Riuscii a falsificare la mia carta d'identità e un permesso di viaggio fino a Tesenei, al confine con il Sudan. Mi costarono $1500. Sfortunatamente al posto di blocco di Tesenei fui arrestata e messa in prigione. Restai per due mesi in una cella dove fui picchiata quotidianamente. Mi chiedevano di rivelare i complici che mi avevano aiutata a falsificare i documenti. Ero picchiata quotidianamente con bastoni e una frusta di cuoio. Tre volte hanno messo una candela accesa sotto la mia vagina per ottenere la confessione.
Dopo due mesi, quando mi fecero passare in una piccolo stanza con altre 10 ragazze, mi sentii meglio. Dopo una settimana confidenzialmente venni a sapere che due delle ragazze erano spie governative. Ci davano una tazza di tè e una zuppa di lenticchie al giorno. Dopo altri 5 mesi fui trasferita a Wia, un posto malfamato vicino a Massawa, per addestramento militare. Vi restai per altri 12 mesi in condizioni severe, dure. Alla fine tomai a casa. La dottoressa mi disse che, a causa dei colpi ricevuti ho bisogno di un immediate intervento chirurgico al seno destro e aggiunse che dubita che io possa avere dei bambini. Mi hanno rovinato la vita... (e scoppia in un pianto dirotto).

Agos, 31 anni. A Debre Zeit, in Etiopia, ho completato i miei studi di ingegnere meccanico aeronautico. Ho poi lavorato all'aeroporto di Addis per 5 anni. Quando scoppiò la guerra dei confini sono stato deportato dall'Etiopia in Eritrea. Mio padre, che era un etiopico, morì nel 1989. Ad Addis lasciai mia madre, due sorelle e la mia fidanzata. Quando raggiunsi Asmara andai da mio zio, felice d'essere ritornato in un' Eritrea indipendente.
Dopo una settimana mi recai all'aeroporto dell'Asmara per cercare lavoro. Mi dissero di tornare dopo una settimana. Al mio ritorno trovai una macchina ad aspettarmi che mi portò in prigione per ragioni totalmente sconosciute. Per tre mesi restai confinato in una cella. Non subii alcun interrogatorio. Poi mi misero assieme ad altri e vi rimasi per altri 18 mesi. Ancora nessun interrogatorio. Un giorno venne un ufficiale che mi disse di tornare a casa e mi ordinò dì non rivelare ad alcuno quello che era accaduto. Quando osai chiedere perché ero stato arrestato, mi fece riportare in prigione. Vi rimasi per altri 45 giorni. Quando fui liberato, mi fu dato lo stesso avvertimento. Io non aprii bocca e tomai da mio zio. Non conosco ancora il mio crimine. Ho perso la mia famiglia, ho perso il mio lavoro e desidero solamente ritornare ad Addis dove sono nato.

Lo smantellamento di un paese pieno di promesse
L'Eritrea è un paese senza peso nelle relazioni internazionali. Sorprende tuttavia per le sue assurdità, le sue contraddizioni e le sofferenze che vengono inflitte al suo popolo.
Ed è capitato proprio a me, un eritreo della diaspora. Sono rientrato in Eritrea dopo dieci anni e sono rimasto scioccato dagli stenti e dagli abusi a cui il popolo è sottomesso. Noi, eritrei in diaspora, veniamo a conoscere solamente i grandi eventi dalle prime pagine dell'opposizione. Quello che invece rende impossibile la vita al popolo sono gli abusi quotidiani del partito che è al potere, e che i media internazionali considerano semplicemente parte di una routine.
Durante la mia permanenza nel paese mi domandavo spesso se in Eritrea c'è un governo o è solo un individuo che lo amministra come proprietà privata. È ridicolo che un paese riconosciuto dalla comunità internazionale e membro delle Nazioni Unite, possa trasgredire leggi impunemente e commettere simili abusi. Come è possibile che ufficiali governativi possano rispondere, come è capitato a me: "Queste sono le nostre leggi; gli altri paesi non ci interessano". E magari il
giorno dopo fanno il contrario. Non sono ne un politico ne un giornalista, ma un eritreo della diaspora che ha a cuore il suo paese e la sua gente; vorrei vedere posta la parola fine alle sue sofferenze. Scrivo solo per aiutare a creare un'opinione pubblica che faccia pressione per un cambiamento nel paese. Il popolo ha sofferto abbastanza. E questa situazione è tanto più dolorosa perché è provocata da quei fratelli e sorelle che abbiamo aiutato a raggiungere l'indipendenza. E' un fatto: il partito di Isaiah Afeworki ha ridotto la nazione alla schiavitù, a uno stato di terrore e di lutto.

Una nazione che non c'è più
Dal 1998 il popolo eritreo assiste, con disappunto e impotenza, a un graduale ma percepibile annientamento del suo paese. Il governo approfittò del conflitto sui confini con l'Etiopia per bloccare il commercio privato, paralizzare il libero mercato e ogni forma di proprietà privata. Industrie fiorenti, fabbriche, compagnie commerciali ed edili sono ridotte alla paralisi. E' stato tolto il permesso di operare anche alle compagnie di importazione ed esportazione. E' deprimente girare per la capitale Asmara e trovare praticamente vuoti botteghe e magazzini che una volta conoscevano l'abbondanza. Le aziende che hanno il permesso di funzionare sono solo quelle che appartengono alla Corporazione del Mar Rosso, la sezione economica del partito. Ma Corporazione del Mar Rosso, che ambiva di sostituire le industrie private e di assorbire la domanda di mercato, ha fallito nel suo obbiettivo di assicurare i beni di consumo sufficienti a soddisfare la domanda. Il risultato è evidente: penuria di pane, zucchero, olio, benzina, medicine, bevande d'ogni tipo, cereali, apparecchi elettronici, ecc. (...)

Per il popolo i beni di consumo scarseggiano; però farina, olio da cucina, zucchero, materiale elettronico, pezzi di ricambio per macchine, ecc. sono importati a basso costo dal governo e venduti in dollari a una tribù nomade del Sudan, i Rashaida, in un posto di confine chiamato Togolit o Transit. Si tratta di un vergognoso mercato nero che avviene a cielo aperto. (...)
E' scioccante pure l'esistenza di una piantagione di chat, foglie di droga, illegale quindi ma appartenente al governo, nella zona di Anagule e Fagena, sulla strada per Filfìl-Solomuna. Questo scandalo venne alla luce solo nei mesi scorsi, ma iniziò ben quattro anni fa. Uno dei proprietari terrieri che vi coltivava il caffè mi confidò che dovette abbandonare la sua terra senza spiegazioni e senza compensi.
(…) I signori del partito e gli ufficiali dell'esercito, approfittando della situazione, vivono nell'abbondanza dentro le loro ville. Mi è stato detto di giovani del servizio civile che sono stati impiegati a costruire, gratis, ville e agenzie di commercio per i membri del partito e dell'esercito. Non c'è da meravigliarsi della corruzione in un paese come l'Eritrea, dove non esistono leggi, se non quelle che servono alla classe nel potere. La gente si domanda: dov'è finita la promessa d'uno splendido futuro? Dov'è la libertà per cui si è versato tanto sangue? Che tipo d'indipendenza ci è data dopo un'attesa di 30 anni?
(...)

Comunicazione sotto controllo

Il quadro politico e' scoraggiante. La situazione cominciò a peggiorare nel 2000 durante e dopo il terzo periodo di ostilità con l'Etiopia. Il 18 settembre 2001, il giorno che i Gì 5 furono arrestati, la radio annunciò la chiusura della stampa privata: non restarono che i mass media dello stato, un quotidiano in tigrino, un settimanale in inglese, una stazione radio in FM e due canali di televisione.
Trasmettono ciascuna in lingua diversa, ma il loro contenuto è identico, letteralmente. Una volta ascoltata la radio, tutti gli altri mezzi sono superflui. ERINA, l'Agenzia Eritrea di Notizie, esercita un totale controllo sulle trasmissioni. Non c'è confronto con nessun altro paese africano dove pullulano giornali, radio FM e stazioni TV.
Il partito al potere non si e' mai atteggiato a campione dei diritti umani, ma la situazione in questo campo divenne insostenibile all'inizio dell'ultima decada. Arresti arbitrari, imprigionamento senza accusa, torture sono all'ordine del giorno. I metodi di tortura sono stati rivelati da chi è stato liberato o è riuscito ad evadere. Si tratta di testimonianze raccolte nel paese o all'estero. Awate. com, sito dell'opposizione, parla di 12 metodi di tortura usati dal partito di Isaiah Afeworki: una tortura allo stile cinese riservata ai sospetti politici, ai dissidenti religiosi e ai giovani che tentano di fuggire dal paese.
La cosa peggiore è che non si sa dove vengano rinchiusi gli arrestati, per cui familiari e amici non possono contattarli nemmeno in caso di malattia o d'altre necessità. Non possono difendersi ne' avere un avvocato. Viene loro tolto ogni accesso al mondo esterno. A chi è accusato di crimini comuni può anche essere permesso di incontrare i propri famigliari, ma mai ai prigionieri politici.
Ci sono centinaia di agenti segreti che operano nel paese sotto la direzione di Abraham Kassa, membro influente del politburo. Come uno arriva nel paese, familiari e amici lo mettono in guardia dal parlare della situazione con qualsiasi persona. La paura dell'arresto è il sentimento predominante. Vengono incarcerati e multati di $2500 anche i genitori di giovani che fuggono dal paese. E, con un salario mensile di $20, questi non potranno mai pagare. In questo caso uno dei genitori viene arrestato e alla famiglia viene negata la razione mensile di alimenti, l'uso del telefono, il passaporto, il documento di viaggio, ecc.
Il governo attuale e' riuscito ad isolare il paese dal resto del mondo. I rari turisti non possono circolare per il paese senza un permesso. Vaste zone, soprattutto nei pressi delle frontiere con l'Etiopia, sono chiuse agli stranieri. Non ci sono i giornalisti stranieri che risiedano nel paese. Nel novembre scorso, il mondo ricevette come uno shoc l'espulsione di 13 missionari cattolici, religiosi che avevano insegnato nelle scuole, nutrito e curato la gente per molti anni. La loro presenza fu percepita come una minaccia per il governo. La ragione ufficiale fu che scadeva il permesso di soggiorno. Ma tutti sanno che fu una mossa per isolare e neutralizzare la chiesa cattolica, che ha un potere effettivo e una voce libera e chiara. Il governo favorisce le chiese nazionali, che non hanno legami esterni e si sente minacciato dalla Chiese che hanno contatti esterni come lo è il Vaticano per i cattolici.

(…) La carta d'identità non basta nemmeno per spostarsi all'interno del paese. "Siamo prigionieri in casa nostra", mi disse una signora. Le vittime di questa realtà sono soprattutto i giovani che sono confinati nei campi, nei collegi militari o nelle loro famiglie. Il governo vuole sapere dove si trovano. Non hanno libertà di movimento.

Ecco l'assurda realtà di ogni eritreo. Il governo si nasconde dietro la scusa del "conflitto di confine con l'Etiopia" e della politica pro-etiopica degli Stati Uniti. Ripete che occorre pazienza perché la causa delle difficoltà attuali sta appunto in questo conflitto. Ma la retorica è troppo ovvia. Il popolo intuisce che le vere cause stanno nell'agenda segreta del partito. Ma ciò che più offende la gente sono le altisonanti dichiarazioni e interviste del presidente e di alti funzionari del partito che sostengono che il paese è prospero e il futuro roseo.
Arrivano perfino a dire che l'Eritrea sta raggiungendo l'autosufficienza alimentare, mentre al popolo manca di pane e dei prodotti di prima necessità.
Larghe porzioni del paese hanno visto il governo razziare granturco, sorgo, frumento, con la promessa di un rimborso in denaro o in mashella, durra. Che io sappia nessuno è stato rimborsato. Nei pressi di Keren la gente non poteva vendere liberamente al mercato prodotti come arachidi e sesamo. Il tutto veniva comperato dal governo a metà prezzo. Per questo gli anziani definirono il governo di Afeworki shifta, bandito.
(…)

E' legittimo questo governo?
Questo governo non e' mai stato eletto. Il popolo fu invitato a votare solo in occasione del referendum per l'indipendenza nel 1993. Da allora non è stata organizzata nessuna elezione politica. Fu il partito a eleggere il presidente Isaiah non il popolo.
Ha ragione quindi la gente di concludere che questo governo non ha legalità ne giuridica ne morale.

Dopo l'indipendenza, la pressione per costruire un paese democratico, tenere libere elezioni con sistema multipartitico obbligarono il partito a creare la Commissione Costituzionale che nel 1997 stese una Costituzione moderna e apprezzata. Ma con la scusa la guerra di confine con l'Etiopia questa costituzione è rimasta lettera morta. E con questo si raggiunse il colmo della contraddizione: poco a poco il potere legislativo eletto dal popolo fu eliminato ed oggi in Eritrea il potere legislativo, esecutivo e giudiziario sono un tutt'uno.
Importanti affermazioni della costituzione, mai ratificata, danno risposta alla domanda.
Il Paragrafo 8 afferma: "Noi, popolo eritreo... desideriamo che la costituzione che stiamo adottando possa divenire un'alleanza tra noi e il governo che verrà formato secondo la nostra libera volontà. Essa dovrà servire come mezzo per governare in armonia questa e le generazioni future e per creare una giustizia e una pace che siano fondate sulla democrazia, l'unita' nazionale e la legge". A questo si aggiunge quanto dichiara il Paragrafo 9: "Oggi 23 maggio 1997, data storica, dopo una partecipazione popolare attiva e l'opera dell'Assemblea Costituente, approviamo e ratifichiamo solennemente questa Costituzione, legge fondamentale del nostro Sovrano e Indipendente Stato dell'Eritrea".
Infine due articoli dichiarano implicitamente l'illegittimità del governo e dello stesso Isaiah Afeworki. "La costituzione proclama i principi su cui lo stato e' basato e da cui sarà guidato e determina l'organizzazione e l'azione del governo. E' la sorgente della legittimità governativa..." (N° 2.2). "Questa costituzione e' la legge suprema del paese e la fonte di tutte le leggi dello Stato, e tutte le leggi, ordini e atti contrari alla lettera e al suo spirito devono esser considerate senza valore legale" (N° 2.3).
(…) Se il partito al potere credesse nella costituzione ne rispetterebbe almeno lo spirito.
Esperti di legge internazionale e di scienze politiche, inoltre, affermano che l'attuale governo dell'Eritrea si è messo automaticamente fuori dalla legge per i numerosi abusi commessi contro i diritti umani. La awate.com, web site dell'opposizione, ha redatto una lista di individui "ricercati" nell'Eritrea del dopo Isaiah. Sono persone che dovranno rispondere per crimini contro l'umanità, primo fra tutti lo stesso presidente. Se ne parla oramai anche tra la gente. Gli anziani, stanchi di questo governo, parlano di un tribunale popolare, secondo la cultura del paese, per tutti coloro che hanno inflitto grandi sofferenze al paese. Tutti s'aspettano che questa situazione di paura, oppressione e dittatura d'un despota finisca e già si parla e si pianifica il dopo Isaiah.

Nigrizia - 26/6/2008

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domenica 4 ottobre 2009

Fatti non foste a viver come bruti


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« "O frati," dissi, "che per cento milia

perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia

d'i nostri sensi ch'è del rimanente
non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza". »

(vv. 112-120)

"Fratelli miei, che attraverso centomila pericoli siete arrivati a questo crepuscolo della vita (la vecchiaia, chiamata come "rimanente veglia dei sensi") presso l'Occidente; non negate ai nostri sensi quello che rimane da vedere, dietro al sole, nel mondo disabitato; considerate la vostra origine: non siete nati per vivere come bruti, ma per praticare la virtù e apprendere la scienza."

Perchè queste celebri terzine piene di retorica?
Dopo secoli, per non dire milleni le vicende si ripetono. Come gli immigrati, Ulisse attraversò il mare mediterraneo, affrontando le paure provocate dalla fantasia e i pericoli reali del mare che inguittiva le imbarcazioni. Ulisse si rivolgese ai suoi compagni di viaggio arrivati in Occidente per svegliare le loro coscenze.
In questi giorni vediamo imbarcazione piene di eritrei, somali, etiopici e altri immigrati sballotati dal mediterraneo. Gente che perde la vita o arriva a stento alle coste dell'occidente.
Omero, ci narra che Ulisse sbarcato nella terra dei Ciclopi viene con i suoi compagni catturato dal gigante Polifemo, che divora tre di loro.

« Qui un uomo aveva tana, un mostro,

Che greggi pasceva, solo, in disparte,
E con gli altri non si mischiava,
Ma solo viveva, aveva animo ingiusto.
Era un mostro gigante; e non somigliava
A un uomo mangiator di pane, ma a picco selvoso
D'eccelsi monti, che appare isolato dagli altri. »

Questa è la descrizione che viene fatta di Polifemo nel libro IX dell'Odissea.
Gli immigrati sembra che seguano il sentiero tracciato da Ulisse. I disperati arrivati dal mare finisco nelle mani dei grandi paesi occidentali (terra dei Ciclopi). I clandestini arrivati in paesi amministrati da governi miopi (Polifemo) al fenomeno dell'immigrazione, finiscono a riempire i campi di identificazione imprigionati come Ulisse e i suoi compagni.
La descrizione di Polifemo sembra un riflesso di partiti politici al governo che oddiano i diversi e i deboli, che preferiscono rimanere isolati e dimenticarsi delle disgrazie degli altri. Anzi alimentano odio con il loro animo malvagio.

Torniamo invece all'orazione famosissima che fece Ulisse ai sui compagni che finisce sentenziando:
« fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza. »

Alcuni esperti di retorica possono cimentarsi dicendo che il Canto XXVI di Dante, tratta degli orditori di frode ossia condottieri e politici che non agirono con le armi e con il coraggio personale ma con l'acutezza spregiudicata dell'ingegno. Gli esperti potranno dire che chi come Ulisse ha tentato di superare i confini delle Colonne d'Ercole infrangendo il divieto divino fu sconfitto da Dio e spedito all'inferno.
Gli esperti intellettuali però non possono negare che il confine divino sulle Colonne d'Ercole non è mai esistino, si trattava solo di una limitazione imposta dagli uomini stessi, scaturita dal terrore dell'ignoto. E' vero, c'è il rischio di finire nei guai se si approfondisce certi segreti di paesi del Corno d'Africa. Ma i limiti imposti non sono divini ma sono solo il prodotto di una politica volta a reprimere ogni dissenso e critica negativa nei confronti dei governi stessi.


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