Meeting di Rimini
Martedì, 23 agosto 2005, ore 11.15
(trascrizione dell'intervento di Fratel Amilcare)
Relatori:
Pàthe Baldè, Direttore del Ministero dell'Ambiente e della Protezione della Natura, Senegal;
Amilcare Boccuccia, Direttore della Sector Hagaz Agricoltural School, Eritrea;
Altero Matteoli, Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio;
Alberto Michelini, Rappresentante personale del Presidente delConsiglio dei Ministri per l'Africa;
Ignazio Musu, Venice International University, Italia;
Alberto Piatti, Segretario Generale Fondazione Avsi;
Chèrif Rahmani, Ministro della Gestione del Territorio e dell'Ambiente, Algeria.
(...)
Moderatore:
Grazie mille Alberto. Vorrei chiedere ora ad Amilcare Boccuccia, dei fratelli delle scuole cristiane, che in questo momento è impegnato in Eritrea, di portarci la sua riflessione.
Amilcare Boccuccia:
Grazie. Grazie a tutto quello che è stato detto fino adesso.
Sento che dovrei sottoscriverlo e lo sottoscrivo. La mia esperienza in Africa è cominciata tantissimi anni fa nel 1968. E' iniziata in Eritrea e sono ancora in Eritrea ma come superiore generale ho avuto modo di viaggiare attraverso l'Africa in varie occasioni. Sono contento che in alcune zone, come hanno appena accennato, ci sia una ripresa. Probabilmente quello che io dirò, che nasce dalla mia esperienza personale - vengo da lì in questo momento -, sarà forse in dissonanza rispetto a questo quadro abbastanza roseo. Ma tutti quanti avete accennato ad una cosa: che la possibilità di sviluppo è legata sostanzialmente ad un fattore, la pace. Io credo che la popolazione africana abbia una potenzialità e dei valori che noi probabilmente delle volte neanche ci sogniamo.
Una capacità di resistere, una capacità di soffrire, una capacità di sopravvivere, di cui noi non siamo più capaci. Gli aiuti sono necessari. Una volta un mio amico, vedendo scaricare le navi a Massaua per la fame dell'84-85, ebbe un'espressione che io non capii allora e che capisco adesso: ogni sacco è un soldato che vi conquista. È tremendamente vero. Sono quindi d'accordo con tutto quello che è stato detto fino adesso circa questo sviluppo o partenariato.
Però io vorrei sottolineare un aspetto che è in dissonanza e che bisogna prendere in considerazione. La pace può nascere soltanto se nasce dalla giustizia e dal rispetto della persona, dai rapporti impostati su una reciproca parità. Ogni paternalismo, sia fra nazioni che fra individui, creerà conflitto e sempre creerà conflitto. L'Africa sub-sahariana, nonostante alcune manifestazioni di progresso, penso che abbia dei grossissimi problemi. Ognuno dovrebbe prendersi le sue responsabilità: l'Africa deve smettere di puntare il dito contro il primo mondo e assumersi le sue responsabilità. E il primo mondo deve essere cosciente delle responsabilità che ancora ha. Tutti parlano di diritti umani, ne facciamo una bandiera, ma essi sono poi condizionati da interessi economici, politici e strategici. Gli americani probabilmente hanno il vantaggio e la sfacciataggine di non negare e non nascondersi dietro un dito.
Loro dicono che non intervengono in nessuna parte se non hanno un ritorno o finanziario o politico. Ma penso che molte volte questi aiuti sono stati dettati dalla stessa filosofia. Spesso, ed è questo il mio punto fondamentale, di fronte a dittature che raggiungono lo stato di cancrena, siamo i primi a distaccarci e a condannarle. Si usa però troppo spesso la prassi del meno peggio. Qualche ambasciatore mi ha detto: "in fondo questo è un governo meno peggio di quello che potrebbe venire". Oppure: "tutto sommato non è peggiore degli altri".
Oppure: "Non ci sono alternative". Pensate che io ho vissuto in Eritrea durante la dittatura di Menghistu e mi trovo oggi in quel Paese che è ancora in conflitto. La pace di Algeri è soltanto un cessate il fuoco. L'Eritrea e l'Etiopia sono in uno stato di guerra. Il segretario generale dell'ONU l'ha definita di nuovo guerra fredda, molto circoscritta, però è così. Di quale sviluppo volete parlare? Della gente che non ha più da mangiare? Per cui è importante a livello internazionale che quando si parla di diritti umani e di rispetto dei diritti umani si sia consequenziali, si vada fino in fondo. Pensare che i governi che non rispettano i diritti umani o che creano conflitti siano i meno peggio o che non ci siano alternative, creerà il vuoto. E creerà un vuoto tale che le alternative diventeranno sempre più difficili. Più la dittatura dura, meno alternativa si crea. È la mia esperienza personale. Sono convinto che anche gli aiuti umanitari hanno prolungato, a volte, le dittature. Quanto la fame ha aiutato il prolungamento della dittatura? Io oggi ho il dubbio che delle volte sarebbe meglio lasciarci morire, si soffre di meno ed è più rapido.
Soluzione? I rapporti fra gli stati devono essere improntati al rispetto della dignità dell'uomo in sé stesso, e non dettati soltanto dall'economia. Quando io passo per l'Italia, in questi ultimi anni, sento parlare della paura dell'immigrazione. Dopo gli attentati delle due torri e di Londra avete il terrore dell'altro. La mia domanda è - perché nasce da un'esperienza di solo una settimana fa -: potete voi fermare con le vostre leggi una ragazza che attraversa 2000 km di deserto, affronta tutto, affonda in una di queste navi, viene rimessa in prigione, rispedita al suo paese di origine e incontrata per la strada mi dice che ci riproverà? Voi li fermerete? Secondo me è nascondersi dietro un dito. Nessuno li fermerà. La disperazione, la mancanza di un futuro, la mancanza di qualsiasi luce fa sì che questa gente verrà qui. Sono abbastanza machiavellico da pensare che se non si vogliono aiutare per un diritto di giustizia, forse lo dobbiamo fare per interesse. Creiamo delle condizioni in cui loro possono avere un minimo di vita umana e il problema di questi grandi spostamenti finirà. Giustamente il Ministro algerino ha parlato di gente che si muove all'interno dell'Africa e al di fuori dell'Africa. Per me uno degli obblighi e una delle richieste che ho a livello politico è che noi dobbiamo cercare di mettere in pratica le teorie e le bandiere sui diritti umani. Se non li aiutiamo moriranno; moriranno lo stesso, ma moriranno soffrendo ancora di più. Ci vuole una consequenzialità, ci vuole questa creazione di partenariato.
E' vero e sia benvenuta e che smentisca quella frase del mio amico: un sacco di grano è un soldato che vi conquista. Rispettiamo la dignità sia dell'individuo che degli stati. È importante. Ma nello stesso tempo, non confondiamoci. Non è attraverso un falso pietismo che si produce sviluppo. Lo sviluppo può venire anche e soltanto imponendo un sistema più giusto. Vorrei concludere quasi con una preghiera rivolta al Ministro, rivolta ai Ministri, anche Algerino: per favore, fate di tutto affinché in quel angolo del corno d'Africa il trattato di Algeri diventi una realtà, perché ora non lo è. Oggi in Eritrea donne e uomini dai 18 ai 50 anni sono sotto le armi. È una scusa per giustificare uno Stato non costituzionale? È una scusa per mantenere uno status quo? Che cosa è? Togliamole queste scuse. Allora possiamo parlare anche di sviluppo. Io come Chiesa sento il bisogno di dire che voi dovete essere duri. È stato un rimprovero che mi ha fatto l'ambasciatore: "ma lei li aiuta!". Lasciate a noi il compito di stare vicino alla gente, di darle un briciolo di speranza. Quello che abbiamo creato è un grande istituto, con ragazze e ragazzi tutti interni che non pagano nulla, che studiano agricoltura, che sperano, ma che non hanno speranza. Che sperano di cambiare il paese, di contribuire, ma ciò che hanno davanti è un servizio militare illimitato. Per adesso. Quindi realmente io penso che lo sviluppo - e tutto ciò che è stato detto lo sottoscrivo - è possibile attraverso un partenariato che include e presuppone il rispetto dell'altro. Ma nello stesso io penso che bisogna guardare l'Africa così com'è e aiutarla a maturare. E penso soprattutto che il popolo africano abbia tutte le caratteristiche per essere già maturo da molto tempo. Aiutiamolo a crescere.
Sento che dovrei sottoscriverlo e lo sottoscrivo. La mia esperienza in Africa è cominciata tantissimi anni fa nel 1968. E' iniziata in Eritrea e sono ancora in Eritrea ma come superiore generale ho avuto modo di viaggiare attraverso l'Africa in varie occasioni. Sono contento che in alcune zone, come hanno appena accennato, ci sia una ripresa. Probabilmente quello che io dirò, che nasce dalla mia esperienza personale - vengo da lì in questo momento -, sarà forse in dissonanza rispetto a questo quadro abbastanza roseo. Ma tutti quanti avete accennato ad una cosa: che la possibilità di sviluppo è legata sostanzialmente ad un fattore, la pace. Io credo che la popolazione africana abbia una potenzialità e dei valori che noi probabilmente delle volte neanche ci sogniamo.
Una capacità di resistere, una capacità di soffrire, una capacità di sopravvivere, di cui noi non siamo più capaci. Gli aiuti sono necessari. Una volta un mio amico, vedendo scaricare le navi a Massaua per la fame dell'84-85, ebbe un'espressione che io non capii allora e che capisco adesso: ogni sacco è un soldato che vi conquista. È tremendamente vero. Sono quindi d'accordo con tutto quello che è stato detto fino adesso circa questo sviluppo o partenariato.
Però io vorrei sottolineare un aspetto che è in dissonanza e che bisogna prendere in considerazione. La pace può nascere soltanto se nasce dalla giustizia e dal rispetto della persona, dai rapporti impostati su una reciproca parità. Ogni paternalismo, sia fra nazioni che fra individui, creerà conflitto e sempre creerà conflitto. L'Africa sub-sahariana, nonostante alcune manifestazioni di progresso, penso che abbia dei grossissimi problemi. Ognuno dovrebbe prendersi le sue responsabilità: l'Africa deve smettere di puntare il dito contro il primo mondo e assumersi le sue responsabilità. E il primo mondo deve essere cosciente delle responsabilità che ancora ha. Tutti parlano di diritti umani, ne facciamo una bandiera, ma essi sono poi condizionati da interessi economici, politici e strategici. Gli americani probabilmente hanno il vantaggio e la sfacciataggine di non negare e non nascondersi dietro un dito.
Loro dicono che non intervengono in nessuna parte se non hanno un ritorno o finanziario o politico. Ma penso che molte volte questi aiuti sono stati dettati dalla stessa filosofia. Spesso, ed è questo il mio punto fondamentale, di fronte a dittature che raggiungono lo stato di cancrena, siamo i primi a distaccarci e a condannarle. Si usa però troppo spesso la prassi del meno peggio. Qualche ambasciatore mi ha detto: "in fondo questo è un governo meno peggio di quello che potrebbe venire". Oppure: "tutto sommato non è peggiore degli altri".
Oppure: "Non ci sono alternative". Pensate che io ho vissuto in Eritrea durante la dittatura di Menghistu e mi trovo oggi in quel Paese che è ancora in conflitto. La pace di Algeri è soltanto un cessate il fuoco. L'Eritrea e l'Etiopia sono in uno stato di guerra. Il segretario generale dell'ONU l'ha definita di nuovo guerra fredda, molto circoscritta, però è così. Di quale sviluppo volete parlare? Della gente che non ha più da mangiare? Per cui è importante a livello internazionale che quando si parla di diritti umani e di rispetto dei diritti umani si sia consequenziali, si vada fino in fondo. Pensare che i governi che non rispettano i diritti umani o che creano conflitti siano i meno peggio o che non ci siano alternative, creerà il vuoto. E creerà un vuoto tale che le alternative diventeranno sempre più difficili. Più la dittatura dura, meno alternativa si crea. È la mia esperienza personale. Sono convinto che anche gli aiuti umanitari hanno prolungato, a volte, le dittature. Quanto la fame ha aiutato il prolungamento della dittatura? Io oggi ho il dubbio che delle volte sarebbe meglio lasciarci morire, si soffre di meno ed è più rapido.
Soluzione? I rapporti fra gli stati devono essere improntati al rispetto della dignità dell'uomo in sé stesso, e non dettati soltanto dall'economia. Quando io passo per l'Italia, in questi ultimi anni, sento parlare della paura dell'immigrazione. Dopo gli attentati delle due torri e di Londra avete il terrore dell'altro. La mia domanda è - perché nasce da un'esperienza di solo una settimana fa -: potete voi fermare con le vostre leggi una ragazza che attraversa 2000 km di deserto, affronta tutto, affonda in una di queste navi, viene rimessa in prigione, rispedita al suo paese di origine e incontrata per la strada mi dice che ci riproverà? Voi li fermerete? Secondo me è nascondersi dietro un dito. Nessuno li fermerà. La disperazione, la mancanza di un futuro, la mancanza di qualsiasi luce fa sì che questa gente verrà qui. Sono abbastanza machiavellico da pensare che se non si vogliono aiutare per un diritto di giustizia, forse lo dobbiamo fare per interesse. Creiamo delle condizioni in cui loro possono avere un minimo di vita umana e il problema di questi grandi spostamenti finirà. Giustamente il Ministro algerino ha parlato di gente che si muove all'interno dell'Africa e al di fuori dell'Africa. Per me uno degli obblighi e una delle richieste che ho a livello politico è che noi dobbiamo cercare di mettere in pratica le teorie e le bandiere sui diritti umani. Se non li aiutiamo moriranno; moriranno lo stesso, ma moriranno soffrendo ancora di più. Ci vuole una consequenzialità, ci vuole questa creazione di partenariato.
E' vero e sia benvenuta e che smentisca quella frase del mio amico: un sacco di grano è un soldato che vi conquista. Rispettiamo la dignità sia dell'individuo che degli stati. È importante. Ma nello stesso tempo, non confondiamoci. Non è attraverso un falso pietismo che si produce sviluppo. Lo sviluppo può venire anche e soltanto imponendo un sistema più giusto. Vorrei concludere quasi con una preghiera rivolta al Ministro, rivolta ai Ministri, anche Algerino: per favore, fate di tutto affinché in quel angolo del corno d'Africa il trattato di Algeri diventi una realtà, perché ora non lo è. Oggi in Eritrea donne e uomini dai 18 ai 50 anni sono sotto le armi. È una scusa per giustificare uno Stato non costituzionale? È una scusa per mantenere uno status quo? Che cosa è? Togliamole queste scuse. Allora possiamo parlare anche di sviluppo. Io come Chiesa sento il bisogno di dire che voi dovete essere duri. È stato un rimprovero che mi ha fatto l'ambasciatore: "ma lei li aiuta!". Lasciate a noi il compito di stare vicino alla gente, di darle un briciolo di speranza. Quello che abbiamo creato è un grande istituto, con ragazze e ragazzi tutti interni che non pagano nulla, che studiano agricoltura, che sperano, ma che non hanno speranza. Che sperano di cambiare il paese, di contribuire, ma ciò che hanno davanti è un servizio militare illimitato. Per adesso. Quindi realmente io penso che lo sviluppo - e tutto ciò che è stato detto lo sottoscrivo - è possibile attraverso un partenariato che include e presuppone il rispetto dell'altro. Ma nello stesso io penso che bisogna guardare l'Africa così com'è e aiutarla a maturare. E penso soprattutto che il popolo africano abbia tutte le caratteristiche per essere già maturo da molto tempo. Aiutiamolo a crescere.